Periodo nero questo che stiamo vivendo, ma si deve pur fare qualcosa per rallegrare lo spirito ed ecco quindi trovata una bella, anzi secondo me, gustosa soluzione.

Una giornata di sole una passeggiata, l’IPhone mi dice 3,3 km, beh io che comparo sempre al mio sport preferito… un 9 buche di golf!

Ero già stata alla sua apertura nel 2013 di questo Ristorante Daniel, nel quartiere di San Marco, a Milano e devo dire che mi era subito piaciuta quella cucina a vista con un bancone da cui ammirarla, ma ci avevano accomodato ai tavoli e il servizio era stato piacevole perché fatto dai giovani ragazzi della brigata.

Questa volta ero interessata a vivere l’esperienza a maggior contatto visivo e mi sono seduta in una delle nuove poltroncine, molto più comode dei precedenti “trespoli come li chiamo io” che il nuovo team ha inserito assieme ad un restyling di tutto il ristorante, che si può interpretare come una scenografia d’interni. Già infatti le autrici fanno parte di Ortiche Studio che sono note scenografe: Alice De Bortoli, Francesca Pedrotti, e Denise Carnini.

La cucina, che era già al lavoro al mio arrivo alle 12.30, trasmette subito un’aria frenetica, ma una frenesia che si può definire dolce, studiata. La brigata si muove secondo percorsi conosciuti, senza sbavature, senza intoppi. Lo chef Daniel, con il suo ciuffo, si sposta in queste scie di lavoro con calma, grazia e sul tavolo di preparazione dei piatti inizia la sua “pièce de theatre”.

Già perché il canovaccio è conosciuto da tutta la brigata che passa dalla cucina interna all’esterna solo accelerando in alcuni piccoli momenti. Ognuno conosce i propri compiti, a volte chiede lumi allo chef giusto per ritocchi e Daniel, come un buon papa, elargisce il suo imput con gentilezza. Non una tonalità di voce più alta, tutto segue l’iter conosciuto e tra un sous chef e un addetto agli antipasti, passa il sommelier Dennis Cereda o il maître Giusy Chebeir che portano direttamente i piatti ai tavoli.

Vedere l’impiattamento, così come se foste in sartoria ad ammirare dopo il taglio la confezione del capo, è stato per me un vero piacere.

Qualche domanda a cui Daniel risponde per illuminarmi sul sapore che poi avrò ponendo in bocca i vari componenti del piatto, e nel frattempo in sala arrivano i commensali che, dal saluto che lo chef patron porge, capisco sono quasi tutti habituè.

Tra i suoi ragazzi Marta Palumbo, giovane come tutti, ma che mi racconta aver vissuto un po’ a Venezia lavorando con la famiglia Alajmo, è addetta ai primi e quindi è sempre a preparare risotti, specie una versione che è molto richiesta in questo momento “risotto e nocciole in salsa di marsala”. Come ho detto conosce il canovaccio, ma ad ogni piatto ci mette una particolare attenzione, quasi volesse firmarlo.

Il menu che Daniel ha scelto di farmi provare è composto dai 5 assaggi del martedi:

Uovo alla coque, patate ed erba cipollina, Carpaccio di sedano rapa, salsa alla senape in grani, Zuppa di cereali e legumi alla toscana – una versione più, diciamo brodosa della Ribollita, ma che ha un profumo in più, l’aggiunta del limone in salamoia che tanta parte ha nei piatti di questo chef. Quindi pollo arrosto al profumo di rosmarino, broccoletti e salsa al vino rosso e poi Millefoglie croccante servita con verdure di stagione, fonduta leggera al parmigiano. Piatto che mi è piaciuto molto per le diverse consistenze, carciofi, finocchi e carote a cui ognuna porta la sua diversa dolcezza e poi quella fonduta…ah il Parmigiano!

«Desideri un dessert?»

«Se hai qualcosa di non troppo dolce, grazie e… piccolo» e mi presenta una fetta di torta di mele alle mandorle… sembra quella che faceva la mia nonna.

Il tutto è stato accompagnato da un Extra Brut di Camossi, Cantina di  Franciacorta, spumante metodo classico caratterizzato da una caratteristica freschezza e da una bella eleganza propostami da Dennis, il sommelier.

Oggi ho passato un momento piacevolissimo ed istruttivo, ho vissuto un’esperienza di gran lusso, ero a teatro ed ho pure mangiato.

Vi presento ora lo chef Daniel Canzian, che conoscerete senza dubbio avendo alle sue spalle un passato come Executive Chef nei ristoranti del Gruppo Gualtiero Marchesi. Già era proprio lì che lo avevo incontrato giovane all’Albereta ad Erbusco. Fa parte dell’associazione Jeunes Restaurateurs d’Europe, la prima associazione a cui Golf&Gusto veniva inviato, quando era cartaceo.

1- come è iniziato il percorso? 

Vengo da una famiglia di ristoratori e ho sempre vissuto in ristorante. Se volevo vedere mio papà e mia mamma li trovavo in cucina. A casa non si cucinava mai, per me tutte le festività come il Natale e la Pasqua erano sempre associate al luogo del ristorante. La mia avventura in cucina, quindi, è iniziata da molto piccolo perché sono sempre stato affascinato dalla cucina come luogo.

2 – influenze del luogo d’origine

Il Veneto è presente e viene richiamato in molte ricette come la “Seppia alla veneta dedicato a Lucio Fontana”, uno dei piatti del menù degustazione M.O.M.A. oppure “Da Venezia a Shanghai”

3 – come nasce l’idea di un piatto, lo disegna

4 – da che ispirazione gli arriva

Mi lascio ispirare da tutto e da niente allo stesso tempo, non c’è uno schema preciso. Le cose nascono per caso da combinazioni di eventi. La curiosità per un cuoco è essenziale, una persona curiosa assembla stimoli e impara: noi esseri umani siamo spugne – la creatività appartiene a tutti. Poi succede che a un certo punto gli stimoli si uniscono tra di loro e danno vita a una nuova ricetta, che non è mai completa da subito, ma si perfeziona nel tempo.

Ogni mio piatto è la conseguenza di una necessità. In generale traggo molte ispirazioni dal mondo dell’arte e dal libro “Le ricette regionali italiane” delle sorelle Gosetti.

5 – che stile può dare alla sua cucina

La mia è una Cucina italiana contemporanea. Seguo un approccio che “restaura” e alleggerisce le ricette della tradizione italiana rendendole contemporanee.

6 – il suo ingrediente preferito

Sicuramente il limone perché è molto versatile. Va bene sia sul dolce che sul salato, lo puoi mangiare quando stai bene ed è un ricostituente quando stai male. È poi perché lo trovo buonissimo.

7- il piatto che ha avuto il più grande successo

Divisionismo in cucina. Un risotto Expo-nenziale. È un piatto nato cinque anni fa quando, con Giulio Cappellini, iniziò a frullarmi in testa l’idea di dedicare un piatto all’Expo. Nello stesso periodo stavo scoprendo il movimento artistico divisionista con la sua netta separazione dei colori, che mi ricordava molto l’utilizzo delle polveri sui risotti – come quello con la Pummarola n’ coppa nato insieme al Sig. Marchesi. Così la mano è partita da sola, spolverando sopra a un risotto appena mantecato del curry, del tè nero e della paprika affumicata arrivata dal Perù. Guardandolo, mi ha fatto subito pensare a “La città che sale” di Boccioni e così ho deciso di chiamarlo “Divisionismo in cucina”

Ma oltre alla cucina…

Ho poco tempo libero, ma mi piace andare in palestra e nuotare.

Andandomene ringrazio tutti e un abbraccio a Marta Palumbo, Giacomo Scollato, Michele Derossi, Lorenzo Raccagni che sono la sua brigata e che alle 14,30, finito il servizio stavano pulendo e sanificando tutta la cucina per renderla pronta… alla pièce serale.

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