A volte mi chiedo se il mio senso del bello prevale su quello, in questo caso, del palato. Beh è chiaro che gli occhi sono i primi organi che captano lo spazio antistante, come un volto in certi incontri ed il palato in altri. Infatti quando m’interessavo di sigari e distillati, per valutare quello che andavo a fumare, dopo averlo ben guardato, lo palpavo per sentirne la consistenza e la fattura e quindi lo annusavo per captarne i profumi. Quando sono al ristorante tutto questo non si fa, non sarebbe neppure carino, forse il cameriere o il direttore di sala che mi ha portato i piatti che, coscienzioso mi ha spiegato gli ingredienti, resterebbe un po’ perplesso, quindi quella sera al Borgia, mi sono limitata a guardare, ammirare la composizione del piatto, carpirne i profumi, ma non certo a toccare, ad ogni piatto mi venivano infatti portate due posate diverse per usarle!
Per cui desideravo rendervi partecipe di una visita, in compagnia d’una amica con cui condividere l’esperienza, di questi piatti che mi hanno non solo rallegrato il palato, ma fatto interessare gli occhi e il naso.
Era un po’ che lo chef Giacomo Lovato mi aveva invitato a conoscere la sua cucina e specie ora che aveva messo a punto il menu Psyche.
Ci eravamo conosciuti due anni fa durante Chef in Green al Golf dei Laghi, provincia di Varese da cui proviene, dove era venuto con il suo sous chef Stefano Merlin, ancora oggi con lui in cucina, per passare una giornata diversa tra golf e buona tavola e tanti amici.
Lo ritrovo quindi molto volentieri anche perché, dobbiamo svelare che non si guardano solo i piatti prima di mangiarli ma, come ho detto e mi ripeto, ma tutto ciò che è bello e circa un metro e novanta, biondo, faccia pulita, Giacomo lo si guarda volentieri. Beh siamo seri!
Allora in questo contesto di ristorante in via Giorgio Washington 56, trovate il Borgia – Milano, un ristorante esclusivo, dal fascino e dal design sofisticati dagli spazi grandi e creato quasi minimal, a parte tre grandi dipinti ed una scala elicoidale che si inerpica legando il soffitto bianco ricco di travature e il pavimento e si ripete come forma sui divani che accolgono tre tavoli. Ma la cucina, per questo grande locale composto di più sale anche con una veranda interna, è piccolina, ma molto funzionale.
Qui si esibisce uno chef dalla giovane età, ma da un curriculum importante dati i pilastri su cui è costruita la sua esperienza, partendo dalla Scuola dell’Alma di Colorno e passando da grandi nomi della ristorazione come gli stellati Sadler e Cracco ed i viaggi d’esperienze all’estero. La cucina in questo grande locale composto di più sale anche con una veranda interna è, come ho detto, ma Giacomo mi conferma, piccolina, ma molto funzionale e il team ben unito.

Ripercorrendo un po’ la sua storia professionale mi dice che nel 2013 lavora allo Snowflake come Sous chef di Federico Zanasi, al ristorante dell’Hotel Principe delle Nevi di Cervinia, diventandone Executive Chef nel 2016 per quattro anni; nel 2018 il maestro Sadler gli affida l’incarico di Executive Chef del suo ristorante a Porto Cervo. L’anno successivo dirige il ristorante gourmet St. George di Villa Carolina a Castelletto d’Orba, per poi a settembre 2020 arrivare nel capoluogo lombardo alla guida del ristorante Enoteca Regionale Lombarda dove resta fino a maggio 2021. A Giugno 2021 la nuova esperienza quale  Executive Chef del ristorante gastronomico Borgia  di Milano.
Così ecco che con il giovane proprietario Edoardo Borgia, psicologo,che ha trasformato il negozio d’abbigliamento di famiglia, nel bar in Isola 56 – Tasting House, richiamo proprio per allo storico outlet Emporio Isola, quindi nell’attuale ristorante con lo chef studiano momenti interessanti d’attrazione al cibo.
Sin dai primi piatti la cucina qui si trasforma con questo nuovo menu Psyche, diventa gioco e scoperta di nuovi sapori.
Tiziano Sotgia, il direttore del ristorante, dopo una breve indagine sulle nostre preferenze che saranno lo stimolo e ispirazione per lo chef a creare una cena su misura, porta al nostro tavolo, i primi amuse bouche.
La tavola nuda in legno, che non amo molto senza il tovagliato, diventa invece un supporto valido per porre in risalto il gioco della presentazione del focus del momento: il boccone da guardare, prima di assaggiare.
Si nota una certa ricchezza di fantasia e di tecnica con preparazioni moderne, ricercando solamente materie prime di massima qualità che ne fanno una cucina contemporanea, con nuovi sapori, creativa senza tralasciare l’estetica, che coinvolge così tutti i cinque sensi, un percorso gastronomico tagliato su misura in base ai gusti e alle aspettative del cliente. Proprio come un abito sartoriale questo menu Psiche!
Scultorei gli amuse bouche, meglio la presentazione, perché le piccole e candide alzatine pongono alcuni elementi in risalto e  portano la mia attenzione alla panoramica varia dei supporti che sono sfilati durante la cena. Questi mi ricordano i volumi e le ombre di De Chirico!
Sul parallelepipedo bianco ecco una meringa ricca di peperone con una fogliolina di acetosella, poi a lato sul piattino pure in bianco, una pallina con piccione, un gioco di barbabietola e confettura ed una croccantezza che trattiene piccione ed aringa adagiato sul bianco. Interessante approccio per chi desidera, come me assaggiare, anche se il menu alla carta è molto vario e con pezzi cari allo chef e alla sua storia.
E così si inizia la danza che abbiamo fatto a volte a passo lento, a volte di valzer e a volte anche sensuale di tango.
Mentre il mio primo piatto giocava sui colori rossi, della fassona al coltello, giallo carico del pane grattugiato e verde di piccole foglioline… versione della milanese, Silvia si godeva un piatto tutto candore, con qualche luccichio rosato e tocchi di verde, un salmerino in due cotture. Si, eravamo due a tavola per condividere questa esperienza e sentire i diversi sapori.
Dopo i piatti in rosa, ecco su un supporto bianchissimo arriva per me il tataki di capriolo con aceto di sambuco, il cavolo viola, il coulis al mirtillo e una soffice di topinambur. Che dire, come non saper quale inforchettare per primo per poter far esaltare il successivo, mentre l’altro piatto accanto per Silvia, tutto nero, porta due tranche di sogliola in due cotture con salicornia.
Il nuovo piatto, quasi un giardino sassoso, presenta un polipo in carbonade, ricetta belga, con caramellatura. Per dare un momento di pausa, in attesa della portata successiva ho molto apprezzato la degustazione del pane e dell’olio.
Poi per entrambe, sul piatto lavico, i cappellacci al prezzemolo. Interno acciuga e salsa alle mandorle, tartufo nero grattugiato! Senza parole, bisogna sentirlo sul palato e lasciarlo scendere lentamente per non perdere alcun momento di goduria.
Mentre Silvia, accanto a me si offre un piatto ancora di pesce, una triglia e le sue perle con una salsa di carote, arancia e caffè dal colore pregnante, io mi delizio con carne alla brace, cerfoglio e pistacchio dalla forma di una pallina in cui la carne è morbida e gustosissima.

Geniale il piccione, meglio due diversi modi di presentarlo in filetto marinato a crudo con salsa alle more, in coscetta in panure, salsa efir al latte e tutto su un fondo di piccione all’ibisco. Il dolce ed il salato danzano.
Ormai la sazietà ha toccato il limite, pensavo d’aver finito il nostro percorso, ma le posate ancora diverse vengono poste al tavolo, ed allora, uno sguardo a Silvia e un alzatina di spalle…. ci tocca andare avanti, non possiamo deluderlo, sono in cucina che stanno ricamando!
Avremmo dovuto pasteggiare utilizzando vari vini di cui la cantina del ristorante è ricca, il sommelier Devis Guiliano ci ha offerto la scelta tra ben 200 etichette, di cui 50 bollicine. La selezione comprende anche vini oltreoceano e prodotti di piccoli produttori artigianali e naturali. Purtroppo il fatto di rientrare in macchina ci ha bloccato scegliendo un solo un vino bianco, un  Pinner fermo ottenuto da una vigna a bacca rossa vinificata in bianco. Sarà per la prossima volta.
Il dessert… meglio il predessert arriva con una cremosa di Robiola di vaccino, bottarga di muggine, advotarago, sorbetto di lime e zenzero, coperto da una thuile di meringa.

Quindi a chiudere questa esperienza un cremoso mascarpone e crumble di mandorle con croccantezza data dalla pelle del tapinanbur.

Alla fine della serata certo che è un artista e come ci dice lui, venendo al nostro tavolo, la sua cucina è un mix di ‘cucina concreta’ alla quale si intreccia un’innata creatività e una tecnica attenta e ricercata.
Allora in questo contesto di ristorante a pochi passi dall’Hotel Mariott, dagli spazi grandi e creato quasi stile minimal, a parte tre grandi dipinti ed una scala elicoidale che ci inerpica legando il soffitto bianco, ricco di travature, con il pavimento marmoreo, lo schema elicoidale si ripete sui divani che accolgono tre tavoli. Ma nella cucina, per questo grande locale composto di più sale anche con una veranda interna, il fatto di essere piccola non mi sembra abbia creato molte difficoltà visto il servizio a pezzo confezionato su misura… una sartoria molto funzionale!

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