Periodo d’incontri festosi? Beh veramente un po’ in sordina dato il momento assai cruciale, ma questo non vuol dire che nel cuore della propria dimora, o casetta, uno non si voglia incontrare, magari in sordina, con un buon bicchiere. Ed allora apriamoci e degustiamo questa novità offertaci da Valdo Spumanti.
Una storia veneta, che inizia nel 1926, quando un gruppo di intraprendenti imprenditori di Valdobbiadene decise di unirsi creando la Società Anonima Vini Superiori: un’azienda dedita principalmente alla spumantizzazione del Valdobbiadene Prosecco Superiore e del Cartizze.
Ci voleva la grinta di un Sergio Bolla che all’inizio degli anni ’50 con l’acquisto, da parte della famiglia, di tutto il pacchetto sino a cambiarne anche il nome in Valdo Spumanti, inizia il grande corso.

Una storia familiare che si avvicina al secolo, 60 collaboratori e 15 milioni di bottiglie per un progetto cresciuto di pari passo col territorio. Valdo come Valdobbiadene, il luogo della denominazione di origine che conta 7.500 ettari vitati e il riconoscimento, nel luglio 2019, a Patrimonio Unesco.

Paesaggi formati da colline uniche, vocate alla viticoltura e declinate in Rive, cru o meglio terreni scoscesi che portano i nomi di San Pietro di Barbozza, Pradase, Col San Martino, Farra di Soligo e molti altri. Singoli vigneti che vanno a comporre quel complesso mosaico assai variegato che individua l’eccellenza in un’area ben definita dall’anfiteatro naturale che da Conegliano si apre verso Valdobbiadene, dove il monolite di Cartizze si adagia sulle Prealpi.

Ma vogliamo gustarci questa chicca che esce dopo 8 anni di lavoro su un progetto e 24 mesi di affinamento sui lieviti?
Valdo Spumanti presenta così, in questo terribile 2020, il suo secondo Valdobbiadene DOCG Metodo Classico: Tenuta Pradase, millesimato da singola vigna, in edizione limitata.
Tenuta Pradase testimonia l’amore di Valdo per il territorio di Valdobbiadene, la storia enologica aziendale e la sua visione per il futuro. La nuova etichetta, infatti, è parte di una strategia di sviluppo di nuovi prodotti che è nel DNA di Valdo, della sua naturale attitudine verso l’innovazione al fine di valorizzare le caratteristiche delle uve del territorio, e del suo aggiornamento costante della proposta enologica all’evoluzione del gusto delle nuove generazioni.
Questo approccio ci ha portato ad essere la prima azienda a spumantizzare a Valdobbiadene” commenta Pierluigi Bolla, Presidente di Valdo Spumanti “tra le prime a credere nel dosaggio Brut – con la Cuvée di Boj – e ad usare il termine “cuvée” nel mondo del prosecco; la prima ad utilizzare le barrique in una cuvée di prosecco “la Cuvée del Fondatore”; la prima a vinificare il Metodo Classico di Glera con la sua etichetta Numero 10 che oggi è alla sua 15a annata e che ci rende l’unica azienda in grado di realizzare degustazioni verticali di metodo classico, dall’annata 2004”.
Erano infatti gli ani ’90 quando, una vendemmia dietro l’altra, continuavano a sperimentare assemblaggi e maturazioni sui lieviti differenti per mostrare come ogni vendemmia può regalare diverse sensazioni ed esperienze e come la Glera può evolvere riposando in bottiglia anche diversi anni.
Oggi, l’azienda ha fatto propria la missione di diffondere la cultura del Metodo Classico di Valdobbiadene, in Italia e nel mondo, per raccontarlo, differenziarlo ed elevare il suo valore.
Tenuta Pradase è un progetto fortemente voluto dalla famiglia Bolla iniziato nel 2012 con il recupero di un antico podere, immerso in un piccolo vigneto di proprietà, in prossimità delle colline del Cartizze, all’interno della zona di produzione del Valdobbiadene Prosecco Superiore DOCG. Qui per volontà della famiglia Bolla viene creato un luogo di cultura enologica, di sperimentazione vitivinicola e anche di hospitality per i prosecco lovers.
Cloni antichi e autoctoni di Glera, Bianchetta, Perera e Verdiso sono stati recuperati e messi a dimora nei diversi filari del vigneto di Tenuta Pradase, definito “biblioteca” per la sua eterogeneità ed in onore del sapere e del patrimonio colturale che custodisce. È stato creato così un luogo che per Valdo è fonte di ispirazione, di ricerca, di conferme ma anche di continue scoperte.

Lo spumante Valdobbiadene DOCG Metodo Classico Tenuta Pradase Brut viene realizzato utilizzando una selezione delle uve del “vigneto biblioteca” di Tenuta Pradase, composta per l’85% da Glera tonda e Glera lunga e per il restante 15% dai cloni di uve autoctone Bianchetta, Perera e Verdiso.
Questo spumante è un omaggio al sapere contadino del passato che all’uva principale affiancava sempre qualche altra varietà, secondaria ma preziosa, utile per sostenere struttura e acidità a seconda dell’andamento dell’annata.
La presa di spuma in bottiglia e l’uvaggio, che racconta la tradizione di un tempo, contribuiscono ad elevarlo per complessità e gusto. Le bottiglie riposano sur lie per minimo 24 mesi, per una produzione limitata a circa 5000 bottiglie all’anno.
La sua elegante etichetta crea un legame ideale tra la criniera del leone di San Marco, simbolo dell’antica Repubblica di Venezia, e le ali dei grifoni presenti nell’emblema della Valdo.
Se la valutiamo dal chicco e un’uva Glera dai cloni tonda e lunga 85%, Bianchetta, Perera e Verdiso 15%, unicamente dal vigneto di Tenuta Pradase.
La sua rifermentazione è in bottiglia, metodo classico Millesimo e del 2017. Viene affinata 24 mesi sui lieviti e si esprime con un dosaggio brut.
Ed ecco la sensazione che proviamo versandolo nel calice e notando il perlage intenso, continuo e anche molto veloce.
Guardando subito il colore che sempre ispira e solletica in un abbinamento quasi animalesco la vista con le papille gustative, il suo colore è giallo con riflessi brillanti e verdolini e questi fan si che la percezione al naso riveli ad ognuno di noi differenti sensazioni, ma le primarie sono di pera Williams e di pesca bianca tabacchiera a cui seguono tocchi di frutta secca, dalla pasta di mandorle.
Al naso ci racconta certamente il territorio, si rivedono le colline che si susseguono in quell’area splendida a cui, nel 2019 è stato conferito dall’Unesco il titolo di Patrimonio dell’Umanità iscrivendole nei paesaggi culturali da tutelare.
Ed allora gli stimoli crescono e così il cervello emette altre sensazioni al palato e ne escono frutta, fresca e secca, note floreali di gelsomino.
Poi quasi ansiosa la bocca non rimane indietro e si applica nel decifrare il gusto che viene conquistato dalla freschezza sapida resa accattivante da un aroma di foglie di menta. Al palato è quindi anche balsamico e piuttosto persistente. Chiude amaricante e pulito con note verticali di scorza di agrumi gialli e verdi.
Manca solo con che abbinare questo calice per rendere completa l’esperienza.
Ed è così che taglio un pezzetto di Montebore, quel formaggio a forma di torta nuziale, presidio Slow Food piemontese, che mi ha accompagnato quest’anno in Chef in Green e lo gusto pensando ai giorni passati tra amici che ora non posso frequentare, ma che rivedrò ed allora mi si completa un quadro in cui una nebbiolina avvolge il tutto, quasi a mantenerlo in serbo per momenti migliori, momenti in cui la pandemia sarà finita ed il sole splenderà facendo brillare il mio calice e tutta la giornata in un continuo degustare.

 

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