L’ingresso della LIV nell’Asian Tour fa discutere
In un periodo di stanca del golf internazionale, con il PGA Tour che ha appena iniziato la nuova stagione e con l’European Tour che attende il gran finale della Race to Dubai, la notizia più rumorosa è stata quella che ha annunciato l’ingresso di un fondo sovrano saudita nell’Asian Tour con un investimento di circa 200 milioni di dollari.
Il Ceo della LIV Golf Investments (questo il nome del fondo) è Greg Norman, figura di spicco del golf mondiale sia per i suoi trascorsi agonistici (è stato a lungo il numero uno al mondo tra gli anni ’80 e ’90 e nel suo palmares figurano più di 90 tornei vinti compresi 2 Open Championship) che per la sua attività imprenditoriale in diversi settori tra i quali il disegnatore di campi da golf. Da alcuni anni si sente parlare dell’idea di organizzare un tour mondiale con i migliori golfisti del mondo e con montepremi stellari.
La proposta, ovviamente in chiara concorrenza con il PGA Tour e l’European Tour, ha avuto però, un’accoglienza tiepida da parte dei giocatori per un verso allettati dai tanti milioni di dollari in ballo, dall’altro poco propensi a rinunciare alla partecipazione a tornei prestigiosi come i Majors.
Visto lo stallo della situazione la LIV ha scelto allora un’altra strada per cercare di realizzare il suo progetto. Ha abbandonato l’ipotesi di organizzare un proprio circuito e ha deciso di provare ad allearsi con quelli esistenti. Il primo passo di questo progetto è stato l’accordo con l’Asian Tour per creare 10 eventi di grande richiamo all’interno del calendario del circuito asiatico e l’evoluzione futura dell’operazione sembra essere la ricerca di una collaborazione simile anche con il PGA Tour e l’European Tour.
Questa nuova impostazione attuata dalla LIV guidata da Greg Norman potrebbe avere più chance di successo rispetto al progetto precedente in quanto non andrebbe a stravolgere l’attuale ordine delle cose.
L’idea del fondo saudita è quella di creare grandi eventi all’interno dei calendari dei due maggiori circuiti golfistici professionistici con la partecipazione dei grandi campioni (sarebbero in gara non più di 50 giocatori sulla distanza delle 54 buche senza taglio) a contendersi un montepremi da 20 milioni di dollari a torneo e un minimo garantito di circa 300 mila dollari per ogni concorrente. Se questo progetto possa andare in porto al momento non è dato di sapere.
Di sicuro la breccia aperta dalla LIV con l’ingresso nell’Asian Tour è un elemento del quale il governo del golf mondiale dovrà tenere conto. Anche i giocatori, sia pure con diversi distinguo, hanno fatto capire che il nuovo progetto della LIV non sarebbe poi così male per la loro categoria.
Non si deve dimenticare, infatti, che il golfista è una figura un po’ anomala nello sport professionistico, soprattutto in quello americano. Come è stato fatto notare dagli addetti ai lavori statunitensi le stelle della NBA o della NFL hanno contratti pluriennali e ultramilionari che incassano indipendentemente dai risultati che ottengono e inoltre godono dell’assistenza completa (e gratuita!) del loro club per i viaggi, gli allenamenti e le cure mediche. I guadagni dei golfisti, invece, sono legati al loro rendimento in campo (compresi gli introiti dagli sponsor) e tutte le spese (trasferimenti, staff tecnico, caddie, ecc.) sono a loro carico. Inoltre se si infortunano e devono restare inattivi non guadagnano.
Ovviamente è tutto relativo visto che stiamo parlando di atleti privilegiati che non se la passano poi così male dal punto di vista finanziario. È indubbio, però, che l’ingresso della LIV e del suo progetto nel golf mondiale stia attirando parecchio interesse.
Va ricordato che attualmente nel PGA Tour sono vietati gli ingaggi, vale a dire i premi legati alla sola partecipazione che sono ammessi negli altri circuiti. Qualche anno fa, ad esempio, Tiger Woods ricevette tre milioni di dollari per prendere parte a una gara negli Emirati Arabi. A questo proposito i media americani fanno notare che il field di un torneo è quello che determina l’interesse del pubblico e degli sponsor. Ai tempi d’oro di Tiger Woods le ricerche di mercato USA raccontavano che la sua presenza in campo valeva circa il 40% in più a livello di audience televisiva e di incassi pubblicitari. Tiger adesso è fermo a causa dei postumi di un incidente stradale e non si sa quando e se tornerà in campo, ma c’è da scommettere che se tornasse a giocare nel PGA Tour il suo rientro farebbe schizzare alle stelle l’interesse degli appassionati indipendentemente che arrivi primo o ultimo. Ed è questo il tasto che la LIV vuole spingere per portare i giocatori dalla sua parte.
Attualmente sia i grandi campioni che i giocatori cosiddetti normali ricevono lo stesso trattamento economico quando partecipano a un torneo, ma tutti sanno che è la presenza o meno dei migliori al mondo a determinare il valore mediatico dell’evento e questo lo sanno bene i giocatori e i loro agenti. Per questo il progetto della LIV, che prevede minimi garantiti e ingaggi per i migliori, viene guardato con interesse e curiosità.
I puristi dicono che in questo modo verrebbe snaturato lo spirito del gioco, ma ormai tutto lo sport di vertice, sempre più forma di spettacolo e di intrattenimento, sta andando verso questa direzione con i fondi di investimento internazionali ormai protagonisti e capaci di influire pesantemente su questo business. Basti guardare a quello che succede nel calcio con le proprietà dei club più famosi del mondo in mano a società finanziarie spesso americane o arabe.
È un bene? È un male? Difficile rispondere. Di sicuro sarà difficile tornare indietro.

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