Quando uno si tiene in una tasca nascosta un biglietto per ricordarsi sempre di un viaggio che lo ha appagato e che a volte riprende perché così il ricordo si ricrea magicamente, vi capita mai? Beh è quello che farò di quel momento vissuto in quel ristorante che si doveva sempre aprire e che … ironia della sorte, ha aperto le porte qualche giorno prima del secondo lockound!
Dalla terrazza si può esplorare una bella fetta del centro e girando la testa, la vista si allunga quasi fino al Tribunale, sui tetti di una Milano ferita da questo periodo che sembra migliorare e che invece diventa sempre più complicato da vivere.
Siamo all’ottavo piano di un palazzo ristrutturato tutto a vetri, proprietà di una banca che ha dato alloggio alla cucina di uno chef amico.
È stato un lungo inseguimento da quando, soffiatomi nell’orecchio, Alessandro Rinaldi mi aveva detto che, avrei dovuto cercarlo altrove, che non sarebbe stato più lì a Identita Golose Milano, che aveva una sorpresa.
Mesi di lavori per mettere a posto, Covid 19 e poi ancora lavori sino all’apertura e… poi alla chiusura per questo ancora padrone della nostra vita, il Covid 19!
«Apriremo in largo Augusto 1/a, il ristorante si troverà all’ottavo piano, con una bellissima vista sulla skyline milanese e un dehor che sfrutteremo anche d’inverno, grazie alle soluzioni studiate appositamente dai nostri architetti. Manca davvero poco al taglio del nastro, stiamo aspettando che finiscano gli ultimi lavori proprio in queste ore, quindi non abbiamo ancora una data precisa, ma contiamo di essere pronti per i primi di luglio». Era quello che mi diceva su Messenger per avvertirmi della possibilità di passare a trovarlo.
E così un giorno mi sono presentata a quella porta laterale del palazzo di Largo Augusto dove, dopo le solite misurazione della temperatura e rilascio del nome che già era inserito nelle presenze, ho preso l’ascensore per salire in alto, in alto sino all’ottavo piano.

Sobrietà è la parola che mi è venuta all’impatto con il locale illuminato da una grande vetrata a L da cui sei subito attratto per vedere il panorama che può offrire.
Pochi tavoli con max 4 sedie, come dispone l’ultimo DPCM, un bar e una cucina a vista.

Non so se Alessandro avesse bisogno di un trampolino di lancio, io ne avevo colto subito la dolcezza dei modi, l’attenzione che mi aveva riservato e non potevo che aspettarmi quel che ho avuto quella mattina, e forse poteva essere anche un ristorante au rez de chaussée valido per lui, ma grazie a due amici era entrato in quel progetto e certo da di là il paesaggio è ben diverso!
Tra i tavoli a me viene assegnato uno strategico da cui poter godere dell’intera sala e della vetrata e, a sinistra, del bar e della cucina. Alessandro sa che per me i piatti devono essere “piattini” se non vuole che lascio la meta lì a gridare allo spreco.

E così piano piano, con una deliziosa quasi cantilena, mi vengono portati i piatti dalle mani di Giada con la presenza di Valeria che, da sommelier e compagna di Alessandro, mi è stata affidata. Il piatto è una serie di piccole chicche, meglio di piccoli scrigni di sapori.
Un tris di oggettini talmente belli che è un peccato mangiarli, ma forse è proprio l’intento dello chef incantare il cliente con composizioni in miniatura o è solo per me? Quindi piccoli morsi, come posso fare io, per poter con la lingua ed il palato dissezionare nei vari componenti e apprezzarne i singoli valori e poi l’insieme.

Sensazioni, devo sempre chiudere gli occhi dopo aver con gli stessi fotografato il piatto, captato i profumi e gli aromi e poi valutare le sensazioni che mi dà. Ed allora è per quello che il piatto o meglio in questo caso i tre piccoli gioielli mi danno alcuni stati di coscienza prodotti da stimoli esterni: visivo, sonoro; si quando si sbriciola tra i denti, tattile anche e di piacere
Chips di cotica e fagioli con ricotta del pastore. Coda alla vaccinara e maionese al limone. Tartelletta crema di noci e pera. 
Come detto tre piccoli scrigni in una stessa portata su tre forme diverse di presentazione, praticamente un prototipo del menu che mi offrirà poi la sua cucina?

Non so, sono solo le entrèe.

Sul tavolo, pane acido e baccalà mantecato, presentato con una strana bolla di vetro trasparente con aculei, assaggio di burro di Bagnoli irpino di Bruna alpina e pezzata rossa, olio Olivetum Vitamine E, pugliese. Sono attenta, mi sembra di vederle le papille tutte tese per capire e sorprendersi.

 

Eccoli ora arrivano i piatti, sempre a tre, sono il Monte Stella: zucca, porro croccante e zola, tagliolino fatto in casa al tartufo bianco, brisé di grano arso, crema di sedano rapa, uova di quaglia, granella di nocciola e funghi pioppini.

Sembrano sempre dei pasticcini, questi un po’ più grandi, ma così ben presentati su questa lastra di vetro lavorato! 

Piatti che utilizzano la stagionalità, ma combinandosi con allegria. 

Valeria mi versa un calice di Sauvignon Colli Udinesi, Cantina Sirch e mi presenta una bella carta di vini, la cantina è sotto e lei conta arricchirla con sue ricerche.
Io sono già satolla, anche perché ho accumulato talmente tante sensazioni che veramente il mio computer ha difficoltà a mettere tutta ben in ordine per non perdere neppure una piccola molecola di gusto.

Una pausa per una chiacchiera con Paolo che gestisce il bar e che mi ha già proposto un cocktail sorpresa da abbinare al dessert. 

Il prossimo passaggio al tavolo mi consegna un piatto candido con il sorbetto al limone, giusto momento per fare un refresh in bocca e preparare il palato al seguente arrivo: il pre dessert è infatti un sorbetto al limone presentato come un gelato con il suo cono, quasi rovesciato sul candido piatto. Un ricordo di Alessandro da piccolo. quando il gelato arrivava con la lambretta ed era fatto sbattuto a mano nella pentola di rame.

Arriva Paolo con un Bitter Flowers: bitter con note aromatiche floreali, geranio, rosa, tiglio e l’amaro dell’ortica, succo di limone, zucchero liquido e olio essenziale di arancia. Delizioso non troppo forte e voilà il dessert.

Nel frattempo tra un piatto e l’altro Alessandro è venuto a trovarmi, ma è impegnato, i commensali, coppie e amiche, forse della zona, hanno pranzato e stanno finendo. Ho dato un occhiata in cucina dove i ragazzi lavorano per la preparazione dei piatti. Una cosa l’ho subito annotata perché purtroppo non sempre viene fatta nei ristoranti. Il disservizio al tavolo viene fatto con un vassoio, infatti si pone vicino al tavolo un poggia plateau e utilizzandolo si serve e si disserve, semplice, pulito!

Arriva il dessert, bellissimo e senza dubbio come piace a me, non dolce, non mieloso, un bel finale!

Mela sotto cenere: mela annurca, gelato al fieno e ramo di cannella.

Bellissimo il ramo mi ricorda le corna delle renne, forse sento in arrivo il Natale, un Natale molto diverso quello di questo terribile 2020.

Una fantasia di piccola pasticceria conclude il pasto ma io, come ho già detto ho chiuso, sarà per un’altra volta. E Valeria mi spiega che il mio menu è un business lunch ed è previsto con due versioni:

Duomo, che riguarda la tradizione Milanese e Naviglio Grande menù di pesce, in fine un’Insalata ricca con la scelta di Trota, Pollo e Mozzarella.

In quel momento hanno provato anche la cena per chi voleva passare più tempo a tavola e godersi il panorama Milanese per cui avevano anche una degustazione di 4 portate a descrizione dello Chef, con totalmente altri piatti… ma ci si è sempre messo di mezzo il Covid.

Ma speriamo che nella riapertura normale, intanto Alessandro chissà quali altre combinazioni avrà ideato.

“È una cucina di ricerca, che va appunto alla ricerca di quegli ingredienti che nessuno ha. Ed è insieme anche una cucina che non spreca. Non mi piace vincere facile con foie gras, astice e ostriche. Io uso il limone di mare, questo frutto di mare della mia gioventù che pochi conoscono e che rappresenta il mare nella sua essenza. Uso il latte cotto che è uno scarto della ricotta. Sono nato tra le cucine di osteria, dove per intenderci si usava il mattarello. Dove si impastava con le mani, non con la planetaria. Dove a portarci gli ingredienti era l’anziano che lo faceva per vivere. Credo nello studio, ma insieme anche in una cucina del cuore.”

Cerca il “sentore e il sapore” di ciò che è perduto, della sua vita da ragazzo, il ricordo indelebile di sua madre che faceva il pane due volte la settimana.

Sono parole che escono dal cuore di un giovane campano innamorato del suo lavoro fin da piccolo e pieno di aspirazioni per il futuro che ha potuto, durante il periodo a Identità Milano, confrontarsi con molti cervelli diversi e modi di fare ed essere e che ora vuol dire la sua.

Auguri Alessandro non solo a te, ma a tutti i cuochi che amano questo loro mestiere purtroppo messo in terribili condizioni da questi momenti in cui si deve scegliere tra la vita e la chiusura, tra l’economia e l’attenzione al bollettino di guerra che ogni giorno, in fondo alla pagina, conta le croci.

A presto, la prossima volta assaggerò altri piatti che avrai nel frattempo inventato, sapendo che il mio palato sarà ancora una volta in festa!

 

 

 

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.